Intellettuali e violenza

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Per Dario Fo intellettuale è colui che ha un rapporto dialettico con la realtà. Mi sembra appropriata e calzante come definizione. Premetto che di carne da mettere al fuoco ce ne sarebbe tanta. Cercherò di essere il più sintetico possibile. Ma il problema principale non è tanto dare una definizione di intellettuale o di cultura quanto quello del ruolo dell’intellettuale, ovvero se deve essere impegnato o disimpegnato. Può arrivare ad esempio ad uccidere per cambiare la società? Il filosofo Popper sembra risolvere la questione quando ne “La società aperta e i suoi nemici” scrive che l’omicidio è legittimo se la vittima è un dittatore. Parafrasando Pavese secondo cui ognuno ha una ragione valida per uccidersi oserei dire che seguendo Popper ognuno potrebbe avere una valida ragione per uccidere. Perché non uccidere degli oligarchi sanguinari o dei governanti democratici ma lestofanti e corrotti? In fondo ogni intellettuale potrebbe dichiararsi rivoluzionario e decidere di uccidere. Però viene da chiedersi se un artista può essere ritenuto tale se ha commesso un’azione riprovevole. Caravaggio fu ad esempio un assassino e Foucault secondo alcuni fu un untore, anche se esiste la pseudofilosofia bareback e non sappiamo esattamente quali fossero gli accordi con i suoi amanti. E che dire se Foucault avesse rispettato tutte le precauzioni e avesse contagiato lo stesso involontariamente i suoi amanti? Come giudicarlo? D’Annunzio e i futuristi ebbero delle responsabilità per l’entrata in guerra dell’Italia. Croce in “Etica e politica” faceva una netta distinzione tra arte e vita. Quasimodo invece pensava che chi avesse fatto la spia per i fascisti in guerra non potesse scrivere poesie. Prendiamo il caso del celebre Marco Paolini. Ha tamponato una macchina, uccidendo una donna. È risultato negativo all’alcol test e non era al cellulare. Tutto è accaduto involontariamente. Dovremmo forse condannarlo ed ergerci a giudici? È stato distratto forse. Forse è stato negligente. Ma non l’ha fatto apposta. Paghi pure in sede civile e penale(i giudici ci sono per questo), ma eticamente potremmo forse condannarlo? Comunque ritorniamo all’omicidio volontario. Ognuno avrebbe una ragione valida per uccidere. Ognuno potrebbe avere una giusta causa. Secondo la celebre opera teatrale di Sartre per fare la rivoluzione d’altronde bisogna “sporcarsi le mani”. E che dire di coloro che subiscono una ingiustizia o degli intellettuali che potrebbero diventare giustizieri? Non avrebbero i familiari delle vittime ad esempio tutto il diritto di passare alle vie di fatto? E che dire dell’atto gratuito di “Delitto e castigo” o del Lafcadio di Gide? Qualcuno potrebbe giustificare anche chi spara a caso su una folla. In fondo forse ogni incontro non è un numero random ed il mondo non è forse un generatore di numeri casuali? Potremmo pensare alla teoria di Ivan Karamazov secondo cui “se Dio non c’è tutto è permesso”. Però non sempre è così perché i nichilisti russi non furono mai sanguinari, anche se come Bazarov non credevano nei vecchi valori, credevano nella scienza e disprezzavano l’umanesimo. Non è poi assolutamente detto che tutti gli artisti innovatori siano automaticamente dei rivoluzionari: non tutta l’avanguardia è calda come si suol dire, cioè legata alla contestazione ed alla rivolta. Per i cristiani non si dovrebbe agire “occhio per occhio” ed ogni omicidio dovrebbe essere considerato un deicidio. La società occidentale teoricamente ha come principio la sacralità della vita. Specifichiamo meglio: ha a cuore la vita dei propri cittadini, mentre se ne strafotte dei cittadini del terzo mondo(penso di poterlo scrivere senza essere accusato di terzomondismo). Gli intellettuali non possono arrogarsi il diritto di uccidere in nome di nobili principi, sostituendosi a Dio o giustificandosi dicendo che è un sacrificio necessario. Devono essere biofili e non necrofili, anche se c’è stato in passato chi seguendo Marx ha ucciso per trasformare la realtà o chi ha ucciso seguendo Nietzsche per una trasmutazione dei valori. Diciamocelo francamente le ideologie covavano della violenza. La volontà di potenza era insita in ogni ideologia, anche in quella marxista. La violenza esiste anche nel liberalismo quando esporta ad ogni costo la democrazia o quando i governanti non attuano un valido welfare. Il sistema però può anche essere combattuto civilmente dall’interno e a questo proposito essere militanti non significa essere capziosi e neanche faziosi, bollando gli altri come piccolo borghesi, romantici o reazionari. La realtà non si suddivide in falchi e colombe e non sempre la vita è un gioco a somma zero. Tutti dovremmo rileggere continuamente il saggio di Moravia “L’uomo come fine”. C’è scritto tutto lì. È un libro smilzo, profondo ma chiaro e comprensibile. Purtroppo l’uomo è un mezzo e il consumismo, il progresso, l’affermazione sugli altri sono i soli fini.

Davide Morelli – Pontedera