La Pandemia dell’influenza “Spagnola” un secolo dopo – prima parte

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L’influenza spagnola fu una pandemia influenzale così letale da essere chiamata la più grave forma di pandemia della storia dell’umanità.

Fra il 1918 e il 1920 uccise in tre ondate successive dai 50 ai 100 milioni di persone su una popolazione mondiale di circa 2 miliardi.

Il tasso di mortalità globale della pandemia di influenza spagnola non è noto neppure oggi con esattezza ma si stima che morì dal 10 al 20 per cento di coloro che erano stati contagiati ovvero circa un quarto della popolazione mondiale.

Supponendo che sia morto fra il 2,5 e 5 per cento dell’intera popolazione mondiale si dice che questa influenza abbia ucciso più persone in 24 settimane che l’Aids in 24 anni e, in un anno, più di quante ne abbia uccise la peste nera in un secolo.

L’influenza spagnola fu globale estendendosi addirittura fino alle isole remote del pacifico. La malattia ridusse l’aspettativa di vita di circa 12 anni, il tasso di infezione fu estremamente alto (in alcune zone arrivava al 50 per cento della popolazione) e i sintomi erano estremamente severi.

La malattia cominciava come una comune influenza; i sintomi della Spagnola erano tosse, dolori lombari e febbre ma poi peggiorava a causa di una polmonite acuta. I polmoni cominciavano a riempirsi di sangue che poi usciva dal naso o con il vomito continuo; in poco tempo diventava acuta e il volto diventava cianotico e la morte sopraggiungeva per soffocamento. Al tavolo autoptico i polmoni apparivano gonfi e bluastri con la superficie fradicia e schiumosa con una consistenza molle.

I sintomi nel 1918 erano talmente inusuali che inizialmente l’influenza fu diagnosticata erroneamente come colerà o tifo. Un osservatore del tempo scrisseche  una delle più sorprendenti complicanze era stata l’emorragia delle mucose, in particolare del naso dello stomaco e dell’intestino, oltre che dal sanguinamento dalle orecchie.

La maggior parte dei decessi fu dovuto alla polmonite batterica: un’infezione secondaria frequentemente associata all’influenza; tuttavia il virus uccise i malati anche direttamente causando enormi emorragie ed edema nei polmon.

Ci si accorse ben presto che si trattava di una malattia insolitamente grave che uccise fino al 20 per cento di coloro che la contrassero. Infatti,  a differenza del solito tasso di mortalità dell’influenza epidemica che si attestava sullo 0,1 per cento, la maggior parte delle epidemie influenzali uccide quasi esclusivamente i pazienti anziani oltre 70 anni, già indeboliti, e i bambini di età inferiore a due anni o immunocompromessi. Al contrario la pandemia del 1918 uccise prevalentemente giovani adulti precedentemente sani.

Secondo lo storico John Barry i più vulnerabili di tutti furono le donne incinte il cui tasso di mortalità era compreso fra il 23 e il 71 per cento.

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