Erano estremisti di sinistra. Erano sedicenti brigatisti rossi, in realtà solo aspiranti. Mi seguivano. Mi pedinavano. Mi braccavano. Ero attenzionato. Non si consideravano perseguibili per legge. Erano impuniti. Facevano la staffetta. Non era una coincidenza, un caso o una mia allucinazione. Affrettavo il passo e loro facevano lo stesso. Mi opprimevano. Mi guardavo con circospezione. Non mi fidavo di nessuno. Sospettavo di tutti. Per un tratto di strada mi seguiva uno. Per un altro tratto un altro ancora e così via ad libitum. Si appostavano. Giravo l’angolo, imboccavo una nuova via e ne compariva uno nuovo. Erano sempre loro. Studiavano i miei spostamenti ed itinerari. Analizzavano le mie abitudini. Vigliacchi perché non era neanche un uno contro uno ma un accerchiamento continuo: quindici contro uno. Intendiamoci era da condannare anche l’aggressione fisica di un singolo. Avrebbero rischiato la denuncia penale, forse l’arresto e loro non volevano questo. Non avevano questo coraggio. Si consideravano intellettuali e c’era chi li riteneva tali. D’altronde per essere ritenuti intellettuali bisogna essere di sinistra: non importa quanto uno è confuso, improvvisato, contorto! Si ritenevano eletti. C’era chi simpatizzava per loro. Chi li fiancheggiava. C’era chi li giudicava con bonaria indulgenza e li assolveva: in fondo ritenevano che ci fosse di peggio a questo mondo. Magari erano gli stessi illuminati che si dichiaravano contro la violenza oppure pacifisti. Non so per quale motivo ce l’avessero con me. Perché tanto accanimento? Sostanzialmente perché ero anticomunista ma forse volevano “vendicare” la morte di Carlo Giuliani o perché non erano d’accordo con certe mie idee riguardanti il rapporto tra flessibilità del lavoro e mobbing.  Io ero una nullità secondo lo specchio deformante della loro ideologia. Mi consideravano un essere abietto soltanto perché non la pensavo come loro. I miei coetanei andavano fuori a divertirsi, uscivano con le ragazze. Se la spassavano. Io ero sempre più isolato. Avevo paura perché sono un essere umano e non mi riuscivo a capacitare chi fossero. Non sapevo chi erano. D’altronde si ha sempre timore dell’ignoto. Erano vigliacchi che agivano nell’ombra. Lanciavano il sasso e poi nascondevano la mano. Erano persi in un delirio di onnipotenza. Mi consideravano una loro preda. Fu però la mia ipervigilanza sana ad essere scambiata per paranoia. In realtà il mio era solo idealismo prevalente reattivo. Ero io che avevo provocato secondo taluni perché i brigatisti rossi, aspiranti o sedicenti, colpivano solo i pezzi grossi e poi avevano sempre le loro ragioni. Una persona mi disse che avrei dovuto perdonarli. Un altro una volta mi chiese cosa avessi fatto di sbagliato perché secondo alcuni le brigate rosse colpiscono sempre chi sbaglia. Una ragazza una volta mi disse di non criticare le brigate rosse perché lei era di sinistra. Insomma il problema non era loro che mi odiavano ma io che mi ero fatto odiare. Poi i brigatistelli furono arrestati. Rividi le loro facce sui giornali. Vidi le foto. Erano loro senza ombra di dubbio. Ecco le generalità dei compagni che sbagliavano! Ero finalmente libero. Tirai un sospiro di sollievo. Erano giovani. Non erano pienamente consapevoli e responsabili. Non sapevano cosa facevano. Però la gente che era con loro? In centinaia e centinaia di giovani manifestarono a loro favore. Erano bravi ragazzi a loro avviso. Dovevano secondo loro essere scarcerati. Ero solo. Ero sempre solo nella rossa Toscana. Avevo ragione ma la mentalità comune era quella e ci sarebbero voluti decenni per cambiarla. Forse non sarebbe cambiata per un ravvedimento generale ma perché certa gente sarebbe morta ed altra invecchiata. Ed ora che sono passati anni? C’è il rischio che il fuoco covi sotto la cenere. Ma ora non sono più solo.

Davide Morelli – Pontedera